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Gli immobili ecclesiastici degli enti religiosi e del Vaticano: riuso e valorizzazione sociale

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  • In Italia, la crisi delle vocazioni ha portato al progressivo spopolamento degli immobili a destinazione ecclesiastica. Analizziamo le principali sfide (e opportunità) all’orizzonte.
  • Gli immobili ecclesiastici sono di vario tipo e appartengono a quasi 30mila enti diversi. Da qui la complessità di una gestione univoca e comune degli stessi.
  • La valorizzazione immobiliare sociale di un bene ecclesiastico deve garantire la sostenibilità economica e il perseguimento di fini propri del carisma costitutivo dell’ente proprietario.
  • Valutare potenzialità e risorse, individuare il valore dei nuovi servizi offerti, modificare le funzioni dell’immobile a seconda dei bisogni reali: ecco come agevolare il processo di riuso e valorizzazione sociale.

Tra crisi e opportunità

Cronaca di uno spopolamento. Negli ultimi quarant’anni il numero di religiosi, uomini e donne, in Italia è progressivamente diminuito e questa tendenza continua a mantenersi. Dietro a un mondo religioso sempre più scarno, non solo nel nostro Paese, c’è la forte crisi delle vocazioni, frutto di cambiamenti socio-culturali profondi in atto negli ultimi decenni e della progressiva secolarizzazione.

Questa situazione ha provocato nel corso del tempo lo svuotamento di numerosi immobili ecclesiastici in tutto il territorio nazionale. Con, in alcuni casi, il conseguente definitivo abbandono a causa dei costi di gestione e manutenzione insostenibili.

Questo patrimonio immobiliare, ricco in termini di storia e di identità, rischia di andare perduto perché non più adeguatamente valorizzato. Per evitare che ciò accada, bisogna dare nuova vita alle strutture ecclesiastiche non più o solo parzialmente utilizzate, supportando questo passaggio con un piano che ne garantisca la sostenibilità economica. Un’operazione non sempre facile, soprattutto se si considera il periodo di incertezza geopolitica, economica e sociale che stiamo attraversando. Non sempre facile, appunto, ma neppure impossibile, come vediamo in questo articolo. A patto che…

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Immobili ecclesiastici in Italia: quali e di chi?

Per poterci addentrare con passo sicuro in un ambito così peculiare, è opportuno chiarire alcuni elementi sostanziali. In primis, che cosa sono gli immobili ecclesiastici? Si tratta di beni di proprietà di enti religiosi facenti parte della Chiesa Cattolica e riconosciuti dallo Stato italiano. Tra questi troviamo:

  • luoghi di culto e conventi;
  • immobili adibiti a opere apostoliche;
  • strutture educative;
  • immobili per l’accoglienza;
  • immobili per opere socio-sanitarie e assistenziali;
  • immobili adibiti al sostentamento del clero.

Secondo la Direzione generale per gli affari di culto del ministero dell’Interno, gli enti proprietari di immobili ecclesiastici erano 29.932 a fine 2015. Il dato non è dei più freschi, ma contribuisce ugualmente a evincere la difficoltà nell’applicare regole e procedimenti univoci nella gestione dei beni ecclesiastici. Soprattutto qualora ci si trovi di fronte a un cambio di uso e di funzione delle strutture.

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Valorizzare tra legge e nuove opportunità

La complessità e particolarità degli immobili ecclesiastici, ma anche la loro straordinaria potenzialità, è riscontrabile già da un punto di vista legale. Tali strutture, infatti, sono definite mixti fori, ovvero sono soggette a diverse tipologie di legge: il diritto canonico, il diritto pattizio tra Stato e Chiesa e il diritto civile. Nel diritto canonico è specificato che la Chiesa può utilizzare gli immobili di sua proprietà come strumenti per raggiungere i fini che le sono propri. Ovvero ordinare il culto, provvedere al sostentamento del clero e compiere opere di carità, soprattutto in favore dei più bisognosi.

Ecco, dunque, dove si concentra la sfida. Di fronte a un bene ecclesiastico sottoutilizzato o addirittura abbandonato, vi sono due possibilità: alienazione o valorizzazione. Generalmente, la valorizzazione di un immobile ha come obiettivi la massimizzazione del profitto derivante dalla locazione e l’incremento del suo valore. Nel caso di un immobile ecclesiastico, però, è necessario coniugare la ricerca del profitto con le finalità evangeliche proprie dell’istituzione religiosa che ne è proprietaria.

Questo concetto è stato ulteriormente approfondito nel documento vaticano Economia a servizio del carisma e della missione¹. Da qui prende le mosse l’idea di una valorizzazione immobiliare sociale. Un modello, cioè, che promuove la produzione di beni ideali e l’aumento del valore immateriale del bene con obiettivi di promozione sociale, inclusività e sostenibilità gestionale.

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Per una reale valorizzazione sociale degli immobili ecclesiastici

Il primo passo verso la valorizzazione sociale di un bene ecclesiastico è la valutazione delle sue potenzialità e delle destinazioni alternative consentite dal Piano regolatore generale. Da questa analisi, si può procedere a una quantificazione del valore sociale che l’immobile può acquisire considerando, ad esempio, il numero di persone a cui sarà offerto un servizio, il numero di giorni in cui esso verrà erogato o l’importo del valore del singolo servizio offerto. Si potrebbe, inoltre, prendere in considerazione anche l’importanza sociale dei servizi previsti in base all’urgenza dei bisogni e al loro valore di prevenzione. Spesso questo processo porta a dare in locazione o in comodato d’uso gratuito l’immobile a enti no profit con finalità sociali in linea con il carisma costitutivo dell’ente proprietario della struttura.

La sostenibilità economica, imprescindibile per il buon esito dell’operazione, deve prendere in considerazione anche:

  • un’attenta e costante manutenzione, in grado di allungare la vita dell’immobile;
  • il recupero di tutte le risorse dell’immobile (efficientamento energetico);
  • un piano di lungo periodo che preveda anche una rimodulazione delle funzioni e dei servizi offerti in base ai reali bisogni del contesto in cui il bene è inserito.

In questo modo, il riuso e la valorizzazione sociale di un immobile ecclesiastico possono diventare una carta vincente. Preservano il valore identitario e culturale del bene e producono nuove forme di economia circolare e welfare generativo. Dall’oblio a nuova frontiera per l’innovazione sociale, insomma, il passo può essere breve.

 

NOTE
¹ Per approfondire: Economia a servizio del carisma e della missione, Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica

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